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Babilonia

La Tradizione Ortodossa Etiope riguardo alla Chiesa di Roma

“All’inizio invero Roma credette rettamente alla predicazione degli apostoli, sino a Costantino e alla regina Elena, che scoprì il legno della croce, e rimasero nella retta fede centotrenta anni.

E in seguito insorse Satana, in nemico degli uomini dall’antichità, e sedusse gli uomini del paese di Roma; e corruppero la fede di Cristo e introdussero l’eresia sulla chiesa del Signore…

Essi, che non sanno da dove vengono e non sanno dove vanno…”

Kebre Negest, Cap. 93

“Vi rivelerò del re di Roma, quando disobbedirà e irriterà il Signore nella fede. Questa fede che abbiamo istituito, è la fede che un futuro re trasgredirà in Roma, e un capo dei vescovi (il papa) si unirà a lui.

E cambieranno e falsificheranno l’esposizione dei dodici apostoli e la trasformeranno nel desiderio del loro cuore, e insegneranno secondo il loro volere e volgeranno la scrittura alla loro maniera, come disse l’apostolo: ‘Per questo essi stessi si sono comportati come Sodoma e Gomorra’.

E nostro Signore nel vangelo disse ai suoi discepoli: ‘Guardatevi da quelli che vengono a voi con vesti di pecore, mentre dentro sono lupi e rapaci’.

Nessuno di quelli che avranno cambiato la nostra fede siederà sul trono di Pietro. Poiché, se vi siederanno dei loro capi dei vescovi (papi) dalla fede ammalata, le loro viscere saranno denudate, poiché all’angelo del Signore è stato ordinato di custodire il trono di Pietro in Roma.”

Kebre Negest, Capitolo 113

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Babilonia

Il Frutto Proibito di Adamo ed Eva non era una Mela

Il frutto originale dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, che Hewan (Eva) prese nella trasgressione e mangiò insieme ad Adamo, non era una mela, ma un fico.

Secondo la Bibbia etiope, dal Primo Libro dei Meqabyan, i Maccabei etiopi, completamente differenti da quelli della Bibbia occidentale, e rimossi dal Canone biblico occidentale:

“Egziabhier mise nel giardino Adamo, che creò a sua immagine e somiglianza – affinché potesse mangiare e coltivare piante e lodare Egziabhier lì. E per non demolire il suo comando – aveva detto: ‘nel momento in cui mangerai da questo legno di Fico, morirai di morte’ “. (1 Meqabyan 27:14-15)

Questo ricorda che anche nella Bibbia conosciuta in Occidente, secondo la Genesi, dopo aver mangiato il frutto proibito:

“Gli occhi di entrambi si aprirono e si accorsero di essere nudi; e cucirono insieme foglie di fico e se ne fecero degli indumenti”. (Genesi 3, 7)

Usavano logicamente le foglie di quello stesso frutto che avevano colto, l’unico nominato in quell’occasione, che chiamiamo in Ge’ez Belès በለስ. Questa parola è anagramma, con stesso valore gematrico, della parola Lebs ልብስ, che significa “vestito”, in quanto il fico fu il primo vestito dell’umanità, sottilmente profetizzato dall’eterna lingua etiope.

Inoltre, la parola “Belès” richiama il nome del malvagio (Iblissa, Dia-bolòs), che possedette spiritualmente il serpente adagiato sull’albero, e che sedusse Eva.

L’interpretazione occidentale della “mela avvelenata” è il tema portante di “Biancaneve”, e segue coerentemente una logica propagandistica di “imbiancatura” di tutti gli elementi africani tipici del mondo biblico. Il fico è un frutto afro-mediterraneo, mentre la mela cresce comunemente in Europa e nei climi freddi.

C’è da considerare anche che in lingua latina, la mela è detta “malus”, lo stesso vocabolo latino che si usa per il “male”: si tratta dunque di una tipica interpretazione romana, sostenuta da molti padri della Chiesa cattolica, che rimuoveva il bene dagli attributi duali dell’Albero, dividendo così ciò che Dio aveva unito: poiché mangiare quell’Albero ebbe l’effetto di uccidere l’uomo (il Male), ma anche di forzare l’incarnazione redentrice del Figlio (il Bene).

La tradizione etiope spiega così perché Cristo maledisse e distrusse un fico pochi giorni prima della sua crocifissione:

“E vedendo da lontano un fico che aveva delle foglie, venne, se per caso vi trovasse qualcosa: e quando vi giunse, non trovò altro che foglie; poiché il tempo dei fichi non era ancora. E Gesù rispose e disse ad esso, Nessuno mangerà il tuo frutto d’ora in poi per sempre “. (Marco 11, 12-14)

Stava per rimuovere la maledizione del Fico, che Adamo ed Eva mangiarono quando non era tempo opportuno – contro il transitorio divieto di Dio – e che era verde e acerbo, e non trovarono altro che foglie. Questo spiega anche perché il legno della Croce fosse prevalentemente costituito dal fico.

Infine, è abbastanza ironico notare come qui a Babilonia la “Apple” di Steve Jobs utilizzi il simbolo della mela morsicata come un malizioso riferimento alle loro avanzate conoscenze tecnologiche, considerandolo il frutto biblico della conoscenza. Ma in realtà, non ne sanno nulla.

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Poesia Spirituale

Sulla Nave di Babilonia

“Poi udii un’altra voce dal cielo:
Uscite, popolo mio, da Babilonia
per non associarvi ai suoi peccati
e non ricevere parte dei suoi flagelli.
Perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo
e Dio si è ricordato delle sue iniquità.”

(Apocalisse 18, 4-5)

Ecco ci siamo tutti
sulla stessa barca
fratello, belli e brutti
come nell’arca
ne sentiamo i flutti
e insieme si sbarca
giusti e farabutti
d’ogni colore e marca
quando piove sui tetti
nessuno se ne smarca
e coi carboni ardenti
meglio si demarca
e poi come la metti
se la speranza è parca
controlla i biglietti
è il Titanic che si narra
svanì misero nei distretti
abissali, vennero a galla
pochi graziati eletti
prima s’aprì una falla
e un dòmino d’effetti
continua mentre traballa
gente si scambia affetti
suona ancora la banda
coll’acqua alta fino ai denti
e lo stesso la propaganda
accompagna quei perdenti
nel ventre della grande orca
si sparano i parenti
per scampare alla loro forca
una scialuppa sulle correnti
è l’unica che ci porta
lontano dai tormenti lenti
chi esce da Babilonia morta
lui soltanto tra i viventi
stai in allerta ed ascolta
non distrarti per gli eventi
non c’è scudo né la scorta
che salvi i tuoi lamenti perfetti
lascia la rotta storta
Caronte è tra i traghetti
al cinema l’ho già scorta
la fine dei marinaretti.

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Haile Selassie I - Testimonianze

Grande Dizionario Enciclopedico UTET – 1957

“HAYLA SELLASE I. Imperatore di Etiopia (Harar, 1891 – vivente). Nipote, per parte di madre, di Menelik, ras Tafari Makonnen (tale è il suo nome originario), studiò ad Addis Abeba, poi fu governatore del Sidama e nel 1911 dell’intero Harar. Proclamato erede al trono in seguito alla caduta di Iyasu nel 1916, assunse il titolo di ‘negus’, finché, per la morte dell’imperatrice Zauditù, di cui era stato reggente, divenne nel 1930 ‘negus neghesti’ (re dei re). Già era riuscito come reggente a far ammettere l’Etiopia nella Società delle Nazioni (1923), a istituire una rappresentanza presso gli Stati europei, a firmare un trattato ventennale di amicizia con l’Italia nel 1928. Come sovrano la sua azione fu ispirata da accorto senso delle possibilità e da sincero desiderio di avviare l’Etiopia a forme di vita economica, politica e sociale più moderne. Nel luglio 1931 emanò una costituzione bicamerale, che mirava a mitigare il potere feudale dei ras latifondisti e a rafforzare l’autorità monarchica. Decisiva fu, nel suo regno, la crisi del 1935-36 con l’Italia fascista. L’aggressione ordinata da Mussolini portò, dopo una guerra abbastanza rapida, alla conquista di tutta l’Etiopia da parte italiana e poi a una guerriglia di resistenza da parte di Hayla Sellase I, che infine dovette riparare al di là dei confini. Tornato il 5-V-1941 ad Addis Abeba, Hayla Sellase I seppe destreggiarsi fra le correnti xenofobe interne e le pressioni degli Inglesi occupanti e, servendosi con abilità delle trasformazioni sociali ed economiche compiute dagli Italiani, nonché dell’aiuto finanziario e tecnico degli Inglesi e degli Americani, cercò di accelerare lo sviluppo strutturale dell’Etiopia. Riuscì di fatto a promuovere la formazione di un primo nucleo dirigente e a varare nel novembre 1955 una nuova, più moderna costituzione fondata sul suffragio universale. Nel campo internazionale ottenne significativi successi con la firma della Carta dell’O.N.U., la partecipazione alla Conferenza di Londra del 1947 sulla questione dei territori italiani d’Africa, l’acquisto della corona dell’Eritrea nel 1950, i viaggi nelle capitali mondiali nel 1954.”

(Tratto dal “Grande Dizionario Enciclopedico”, Utet 1957)

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Haile Selassie I in Italia

N.Adelfi – La Stampa – 10 Novembre 1970

“INTERVISTA IN TRENO CON HAILE SELASSIE

‘Le vicende tristi della guerra sono acqua passata’ – Apprezza negli italiani ‘la loro volontà di lavorare e il fatto che ovunque essi vadano cercano di vivere in armonia con la gente del posto’

S.Margherita L. 9 novembre.

Il treno messo a disposizione dell’Imperatore d’Etiopia dal presidente Saragat ha iniziato il viaggio da Roma a Santa Margherita Ligure alle 16,45. Il Negus si è subito appartato in compagnia di due cani che lo seguono dappertutto nei suoi viaggi, di razza ‘ciuoa’: sono piccoli, con gambe esili, orecchie a sventola. Nervosi e intelligenti. Il beniamino del Negus si chiama ‘Lulù’ e di lui si dice che ha qualità d’intuito e di premonizione addirittura straordinarie. Si racconta che lunghe e affettuose siano le conversazioni tra l’Imperatore e il suo diletto ‘Lulù’.

Ad un certo momento, grazie ad un ingegnoso apparecchio radio messo a punto dal colonnello Mario D’Enrico in appena tre giorni, il Negus ha potuto telefonare due volte ad Addis Abeba con i suoi familiari e con diversi ministri. Poi si è collegato col presidente Saragat e in francese gli ha rinnovato i suoi sentimenti di sincera gratitudine per la cordialità e l’affettuosità delle accoglienze ricevute a Roma, a Orvieto e a Viterbo.

Dopo Cecina il Negus ha acconsentito a ricevere nel saloncino presidenziale una decina di giornalisti italiani e stranieri. E’ toccato a me essergli presentato per primo, e a nome dei colleghi ho pregato l’imperatore di darci qualche impressione del suo viaggio in Italia, ora che la parte ufficiale era terminata.

Il Negus ha cominciato col rispondere in inglese, ma poi ha preferito continuare in amarico e via via una persona del suo seguito ci dava la traduzione, sempre in inglese.

Hailé Selassié ha esordito mettendo bene in chiaro che il suo non è un viaggio turistico. Quarantasei anni fa egli fu accolto dal governo italiano con manifestazioni di amicizia e ora egli è tornato in Italia per rafforzare quei legami e porli su una base più duratura. Le vicende tristi e sfortunate della guerra ormai sono acqua passata. Gli etiopi hanno veramente dimenticato quello che avvenne in quei tristi anni. Questo è dovuto soprattutto al fatto che sono mutate le condizioni del mondo e mutato è anche il governo in Italia. Dovunque egli si sia recato, ha proseguito il Negus, ha potuto vedere con quanta amicizia la gente comune lo ha accolto e lo ha acclamato.

Sul piano governativo le relazioni attuali tra l’Italia e l’Etiopia non potrebbero essere più amichevoli e i frutti si vedranno con l’ulteriore collaborazione politica ed economica.

Ad un certo punto l’imperatore ha ricordato che quando egli ritornò sul trono ad Addis Abeba invitò i suoi compatrioti a trattare gli italiani secondo le prescrizioni delle sante scritture. Essi acconsentirono di buona voglia e da quel momento i rapporti tra gli italiani che vivono in Etiopia e gli etiopi si sono sempre svolti in un clima di uguaglianza e di rispetto reciproco.

Il Negus ha messo poi l’accento sul contributo dato dagli italiani in Etiopia in tutti i campi, specialmente in quello economico. Ormai essi si sentono a casa loro e vivono in mezzo agli etiopi rispettandone le usanze e la mentalità. A una domanda di un collega l’imperatore ha detto che il tempo per odiare è passato. Ora nel mondo non dovrebbe esserci più posto per l’odio. Ad un’altra domanda ha risposto: ‘Le due qualità che più apprezzo negli italiani è la loro volontà di lavorare veramente esemplare e il fatto che ovunque essi vadano cercano di assuefarsi alle condizioni locali e di vivere in armonia con le genti del posto’.

A Livorno il treno ha sostato per pochi minuti, però sono stati sufficienti per far adunare un centinaio di persone attorno alla carrozza presidenziale. Insistenti applausi hanno indotto il Negus ad affacciarsi al finestrino. Scorta una donna con un bambino in braccio il Negus l’ha invitata ad avvicinarsi e ha messo nelle mani del bambino una medaglia con la sua effigie.”

“La Stampa” 10 Novembre 1970, articolo di Nicola Adelfi

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Haile Selassie I - Testimonianze

L.B. Johnson – Presidente degli Stati Uniti – 1967

Il Presidente degli Stati Uniti L.B. Johnson – 14 Febbraio 1967:

Vostra Maestà Imperiale, Sig. Vice Presidente, Sig. Giudice Capo, distinti ospiti, signore e signori:

E’ un alto privilegio questa notte onorare uno dei più coraggiosi, lungimiranti e rispettati statisti di questo secolo, che ha guadagnato un posto indelebile nel cuore degli uomini ovunque.

Monarca del regno Cristiano più vecchio e di un’antica civiltà, voi, Vostra Maestà, personificate per noi lo spirito eterno di devozione alla libertà e all’indipendenza del vostro popolo Etiope.

L’essenza del carattere Etiope fu riposta nelle vostre toccanti parole molti anni fa: “Con l’aiuto di Dio, siamo sempre stati fieri e liberi sulle nostre montagne native”.

E’ difficile per me esprimervi questa notte il posto veramente speciale che voi occupate nella nostra tradizione.

In vero, nella tradizione di tutto il genere umano.

Molti di noi in questa stanza stanotte richiamano alla mente la notte del 28 Giugno 1936, quando l’Imperatore d’Etiopia fece un appello alla Società delle Nazioni.

Un appello per il suo popolo sofferente che fu anche un appello veramente commovente alla coscienza dell’umanità.

La domanda finale di Vostra Maestà alla Società è riecheggiata per molti anni con impatto profetico:

“Chiedo alle 52 nazioni che hanno dato al popolo Etiope la promessa di aiutarlo nella sua resistenza all’aggressore, cosa vogliono fare per l’Etiopia? “

“E alle grandi potenze che hanno promesso di garantire la sicurezza collettiva ai piccoli stati su cui pesa la minaccia di subire un giorno il fato dell’Etiopia, io chiedo, che misure intendente prendere ?”

“Rappresentanti del mondo, sono venuto a Ginevra per assolvere in mezzo a voi il più doloroso dei doveri di un capo di stato.”

“Che risposta dovrò portare indietro al mio popolo?”

Noi tutti conosciamo – per la nostra vergogna – la risposta che Vostra Maestà ha ricevuto..

Il tradimento dell’Etiopia fu in verità il punto di svolta sulla strada verso l’aggressione e la guerra.

La sua lezione è stata incisa nella nostra memoria e ci ha spronato a costruire un mondo dove i solidi impegni a resistere all’oppressione non sono più soltanto pezzi di carta.

Vostra Maestà, richiamiamo con grande piacere anche il vostro ritorno trionfale ad Addis Abeba. E la vostra rimarchevole ricostruzione della vostra nazione quando avete posto in atto i vostri ideali di modernizzazione a lungo sostenuti e a lungo frustrati:

— costruendo scuole, una bella università, ospedali, dighe, aeroporti, fabbriche;

— volgendo Addis Abeba in una città moderna, bellissima, dinamica;

–proclamando una costituzione riveduta e un sistema legale;

–addestrando i giovani Etiopi ai compiti del futuro nel 20° secolo. Vostra Maestà, non avete confinato il vostro concernimento soltanto al vostro popolo.

Abbiamo tutti assistito, e possiamo testimoniare a riguardo con ammirazione, alla vostra impressionante performance come leader dei molti e diversi popoli dell’Africa – e come mediatore nei confronti potenzialmente esplosivi tra i vari stati Africani.

L’Organizzazione dell’Unità Africana – che la vostra iniziativa nel 1963 ha contribuito a creare – è una delle istituzioni più promettenti nel movimento verso pace, ragione e unità nel grande Continente dell’Africa.

E’ stato sempre un privilegio e piacere unico per me avere un’opportunità di scambiare vedute sugli affari internazionali con uno di coloro che io considero uno dei più grandi statisti anziani del mondo.

Oggi, come nel 1963 quando parlammo l’ultima volta, abbiamo avuto un immediato senso della grande comprensione e rispetto reciproci che i nostri popoli nutrono uno per l’altro.

Vostra Maestà, noi facciamo profondamente tesoro di questa relazione. E’ la mia più genuina e sincera speranza che le successive generazioni dei nostri popoli continuino a rinforzare il solido edificio della cordialità e della comprensione Etio-Americana.

In questa felice occasione, qui questa notte nella prima casa di questa terra, la Sig.ra Johnson e io, a nome dei nostri distinti ospiti, di tutti quelli che hanno avuto il privilegio di venire qui ed essere insieme questa notte, e certamente a nome di tutto il popolo Americano, proponiamo un brindisi a Vostra Maestà – statista rispettato, costruttore di pace nel mondo, e onoratissimo e fidatissimo amico.

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Haile Selassie I - Testimonianze

G. Sommi Picenardi – L’Illustrazione Italiana – 1930

“…proclamarono imperatrice la principessa Zauditù, ed elessero erede della corona Ras Tafari, figlio del grande Maconnen e cugino di Zauditù, ‘leone d’Etiopia e spada di Salomone’, noto per la sua saggezza politica, il suo valore militare e dai Lazzaristi francesi, che l’ebbero allievo, educato a un vibrante interesse per le cose europee. Anche in quella occasione, mentre si poteva già considerare arbitro del paese, Tafari diede prova d’ingegno sottile e di diplomatica finezza, volendo che il trono, offertogli dai suoi partigiani, venisse invece occupato dall’ultima superstite della famiglia di Menelik, che era appunto Zauditù … (…)

Da allora in poi (…) il Reggente Tafari esercitò continuamente quelle funzioni sovrane che oggi gli vengono di pien diritto attribuite, in seguito alla morte di Zauditù, assieme alla corona imperiale e al titolo di Negus Neghesti, ossia di Re dei Re.

L’opera di governo esercitata fin qui da Tafari può dirsi che proceda per tappe di continua civilizzazione del paese, nonostante le difficoltà create ad un rapido progresso dalla configurazione fisica del territorio e dagli immensi dislivelli culturali e psicologici di una popolazione che comprende il fastoso feudatario, superbo nella sua antichissima nobilità, e il selvaggio ignudo che vive nella macchia impenetrabile. Così si spiegano le molteplici difficoltà incontrate da Tafari nella sua lotta contro la perdurante vergogna della schiavitù. Tuttavia, il passato recente dà agio a bene sperare dell’avvenire dell’Abissinia sotto il nuovo Sovrano…” (…)

“L’Illustrazione Italiana”, 13 Aprile 1930, p.601 – Articolo di G. Sommi Picenardi

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Bob Marley

Exodus – Exodus album – 1977

EXODUS

L’Esodo: il movimento del popolo di Jah
Gli uomini e la gente ti combatteranno / dimmi perché ?
Quando vedrai la luce di Jah
Lascia che te lo dica, se non sei nel torto / allora, perché?
Va tutto perfettamente
Così cammineremo, perfetto ! –
per le strade della creazione
Noi siamo la generazione / dimmi perché ?
che passa attraverso la grande tribolazione. (Apocalisse 7:14)

Apri i tuoi occhi e guarda dentro
Sei soddisfatto della vita che stai vivendo ?
Noi sappiamo dove stiamo andando
Noi sappiamo da dove veniamo
Stiamo lasciando Babilonia (Apocalisse 18,4)
Stiamo andando nella terra di nostro Padre.

Esodo: movimento del popolo di Jah !
Mandaci un altro fratello Mosè! (Deuteronomio 18,15)
Dall’altra parte del Mar Rosso!
Muoviti ! Muoviti ! Muoviti ! Muoviti !

Jah viene a rompere l’oppressione (downpression)
a governare nell’uguaglianza,
spazzare via la trasgressione,
liberare i prigionieri.

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Haile Selassie I - Testimonianze

Carlo Tuzii – Radiocorriere TV – 1965

“UN IMPERATORE ILLUMINATO

Siamo arrivati ad Addis Abeba il 7 gennaio, in occasione del Natale etiopico. C’era una grande cerimonia religiosa alla Chiesa della Trinità, che è la Cattedrale copta della città, e una grande folla attendeva l’arrivo dell’imperatore. Era una folla pittoresca, come tutte le folle africane, ma sostanzialmente ordinata. Attendeva da ore, sotto il sole, con pazienza. Solo in un altro Paese ho visto attendere così: in Inghilterra. E probabilmente questa coincidenza non è casuale: Hailé Selassié rappresenta in Africa la forza della tradizione, come Elisabetta II in Europa.

Tagliata fuori dal mondo circostante per la sua natura di altopiano montagnoso, che l’ha resa inaccessibile per secoli, l’Etiopia è uno dei pochissimi Paesi africani che possano vantare una lunga indipendenza: trenta secoli, con la sola breve interruzione dell’occupazione italiana dal 1936 al ’41.

Il Paese ha una forte tradizione cristiana, ma è popolato da diverse minoranze religiose, mussulmani, animisti, pagani. E’ formato da quaranta gruppi etnici diversi: da questo deriva il nome Abissinia, che vuol dire mescolanza di razze. (…) Sono orgogliosi; e la loro fierezza traspare anche nei gesti più consueti, nel modo di salutare o di ringraziare, nelle manifestazioni di entusiasmo.

Fu così anche quel giorno alla Chiesa della Trinità.

Quando apparve in lontananza la ‘Rolls Royce’ verde dell’imperatore si alzò un urlo fra la folla (è un urlo acuto e tremolante che si chiama ‘eleltà’), alcuni si prostrarono a terra, altri sollevarono i bambini perché potessero vedere meglio; ma non c’era nulla di servile nei loro atteggiamenti.

L’imperatore, seduto su un cumulo di cuscini, rispondeva al saluto con gesti discreti, come si conviene a chi ha alle spalle una dinastia vecchia di tremila anni. Sorrise benevolmente al nostro operatore che si era buttato avanti per riprendere la scena.

ALLA LEGA DELLE NAZIONI

Hailé Selassié è il duecentocinquesimo Negus d’Etiopia; discende in linea diretta da Menelik I, che la leggenda vuole figlio di Salomone e della Regina di Saba. Gli competono i titoli di Eletto del Signore, Leone Trionfante della Tribù di Giuda, Re di Sionne, Re dei Re.

La sua figura è indissolubilmente legata alle vicende dell’Etiopia moderna. Divenne imperatore il 2 novembre 1930, ma la sua carriera pubblica era cominciata molti anni prima. A quattordici anni era stato nominato Vice-Governatore dell’Harrar, poi Re dello Scioa, infine, nel 1917, Reggente al Trono.

Fu lui, proprio durante il periodo della reggenza, a volere che il Paese entrasse a far parte della Lega delle Nazioni; e questo nel 1923, quando le grandi potenze consideravano ancora l’Africa come una terra di conquista. Questa fu una prova di intelligenza, ma anche di autentica sensibilità politica, che doveva essere confermata pochi anni dopo, in occasione del conflitto italo-etiopico.

Fu il primo monarca africano ad apparire di fronte ad un organismo internazionale per difendere la causa del suo Paese. La sua dichiarazione davanti alla Lega, il 30 giugno 1936, lo pone di diritto fra i grandi personaggi della nostra epoca. ‘Il problema sottoposto all’Assemblea – affermò in quell’occasione – è più vasto che la rimozione delle sanzioni. Si tratta della fiducia che ogni Stato deve riporre nei trattati internazionali, del valore che debbono avere le promesse fatte alle piccole nazioni, perché la loro integrità e la loro indipendenza siano rispettate e garantite. In breve: è in giuoco la moralità internazionale. A parte il Regno del Signore, non c’è su questa terra alcuna nazione che sia superiore ad un’altra’.

SAGGEZZA ED EQUILIBRIO

Mantenne questa sua fiducia anche negli anni dell’esilio in Inghilterra; e ne diede prova al rientro in Etiopia con una politica molto equilibrata nei confronti della comunità italiana rimasta nel Paese, ottenendo così che i nostri connazionali dessero un prezioso contributo alla ricostruzione e allo sviluppo dell’Etiopia.

Saggezza, equilibrio, moderazione: sono queste le qualità salienti di Hailé Selassié, quelle che gli hanno consentito di restare alla guida di un Paese dalle strutture ancora feudali e al tempo stesso di assumere una posizione di prestigio all’interno del Movimento di Unità Africana.

Le stesse qualità le manifesta nella sua vita privata. Abita al Palazzo del Giubileo, nel centro di Addis Abeba, circondato da un numero imprecisato di nipoti e pronipoti. La sera, al tramonto, scende con loro alle scuderie, per dare da mangiare ai cavalli (l’equitazione è sempre stata la sua grande passione). Ha 73 anni, ma conserva un passo e un’andatura molto giovanili.

E’ difficilissimo avvicinarlo, ma una volta superata la barriera dei cortigiani e dei funzionari, è di una cortesia estrema. Parla poco, a monosillabi, ma ascolta attentamente.

La sua Corte ha un cerimoniale fra i più rigidi del mondo (superiore persino a quello della Corte inglese), ma alle cerimonie pubbliche si presenta accompagnato da almeno uno dei suoi molti nipoti e dalla cagnetta Lulù. Quando gli abbiamo chiesto se ha fiducia negli uomini ci ha risposto che non bisogna disperare; e ha continuato a carezzare sorridendo uno dei suoi cavalli.

Questi sono alcuni aspetti di Hailé Selassié, il trentesimo personaggio che appare alla ribalta di Primo Piano.”

Da “Radiocorriere TV” 18-24 Aprile 1965, p.24, articolo di Carlo Tuzii

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Guerra Italo-Etiopica L'Imperatrice Menen

Discorso alla Vigilia della Guerra con l’Italia – 11 Settembre 1935

GLI INSEGNAMENTI DELL’IMPERATRICE

NEW YORK TIMES
11 Settembre 1935, pochi giorni prima dell’invasione fascista.

“Potenti eserciti si stanno preparando ad invadere il nostro paese col pretesto fallace di portare civiltà al nostro popolo pastorale, pacifico, che vive vicino alla natura e in comunione con Dio.

Possa il cielo salvarci da una tale civiltà. Sotto le gravi, dolorose circostanze in cui viviamo e in presenza della minaccia di guerra che pesa su di noi, pensiamo che le donne in tutto il mondo abbiano il dovere imperativo di far udire le proprie voci, esprimendo i propri sentimenti.

A tutte le latitudini, in ogni clima e paese le donne sono ispirate dallo stesso spirito, l’amore per la pace. La guerra è sempre stata il più grande dei mali che schiacciano l’umanità. Qualunque sia la loro terra nativa, le donne dovrebbero rimproverare la forza bruta e detestare la guerra che distrugge le case ed ha come risultato l’uccisione di mariti, fratelli e figli.

Le donne Italiane, che sono madri come quelle Etiopi, soffrono al pensiero del male infinito, irreparabile che farà sorgere la guerra. Tutte le donne dell’universo dovrebbero perciò unire le proprie voci per chiedere fermamente che siano evitati gli orrori dell’inutile spargimento di sangue e della rovina accumulata.

L’Etiopia non è animata da alcuno spirito di violenza. Ella aspira soltanto alla pace. Nella lite che ci è stata imposta, la coscienza Etiope è pura e indisturbata. Gli Etiopi hanno sempre riservato un’accoglienza fraterna agli stranieri che sono venuti qui per faticare onestamente.

L’ambizione imperialistica è sorta presso uno dei nostri vicini, con cui noi auspichiamo soltanto di vivere pacificamente e senza desiderio di conquista. Non osiamo dubitare che il desiderio della pace, che guida l’Associazione Internazionale delle Donne, eserciti un’influenza su tutti quei destini che presiedono sull’umanità. Preghiamo fervidamente Dio che possa assisterle nel loro difficile compito. Desideriamo credere ancora nell’efficacia e nel successo dei loro sforzi per questo fine, e spereremo nel mantenimento della pace.

Ma se, nonostante le nostre preghiere, la guerra scoppiasse, noi donne sapremo come realizzare il doloroso, nobile compito di medicare le ferite ed alleviare, tanto quanto è possibile, i crudeli mali che genera la guerra. E’ confortante pensare che le donne del mondo intero saranno al nostro fianco così come lo sono oggi.

Donne del mondo, unite alle nostre le vostre preghiere all’Onnipotente, affinché Egli impedisca il crimine della guerra ! Chiedete all’Onnipotente di ispirare le parole e gli atti degli statisti, così che giustizia e pace possano regnare fino alle estremità del mondo!”.

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