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Babilonia

La Divina Commedia denuncia l’Apostasia Romana

“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.”
La Divina Commedia di Dante, Il più importante testo letterario della civiltà Italiana, il fondamento storico della stessa lingua italiana che utilizziamo, inizia dichiarando il suo smarrimento della retta via e la sua deviazione.
E pare che non lo comunichi soltanto in senso individuale, poiché ci tiene a parlare di una vita “nostra”, e richiama un livello sociale e collettivo di perversione storica, che si percepisce chiaramente seguendo la narrazione del testo. Basterebbe dire che si tratta dell’opera più ferocemente anti-Vaticana mai concepita dall’uomo, che seppellisce tra le torture dell’inferno quasi tutti i papi, ne contesta l’autorità e sferza violentemente la loro depravazione con tono profondamente profetico. Parla dello smarrimento di un’intera civiltà, e nessuno che lo insegni mai con limpidezza intellettuale e onesta applicazione al mondo contemporaneo.
I commentari liceali della Divina Commedia sono concepiti per rendere il suo insegnamento insopportabile, come quello di una favola erudita piena di nozioni ma priva di verità, ed astrarlo il più possibile dalle problematiche della vita reale. Nel caso di questo verso, sono più impegnati a meditare sul suo significato anagrafico (il mezzo della nostra vita media, 35 anni) che quello profondamente spirituale, e profondamente vero, che denuncia tutta la civiltà italiana, chiesa e stato, come storicamente “deviata”.
E quel “Nel mezzo” fa anche inevitabilmente pensare, in senso storico più ampio, che Dante viene nel Medio-Evo, in quell’epoca della storia che è considerata il “medio” tra due epoche, la prima delle quali scandita dalla venuta di Cristo, e la seconda (l’epoca moderna) da un evento di importanza evidentemente parallela. Come vedremo, Dante lo identificherà nella venuta di una figura messianica di liberazione politica, il “Veltro”, che non è altro che il Cristo nella Sua Seconda Venuta, e che avrebbe storicamente corretto la deviazione romana.
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Haile Selassie I - Testimonianze

Papa Paolo VI, Ginevra 1969

Maestà,

Ci procura grande piacere incontrare Vostra Maestà oggi in questo famoso centro di attività mondiali: attività dirette al miglioramento del genere umano. Siamo lieti di aver avuto questa opportunità d’intrattenerci con Voi su problemi di comune interesse, e ancora una volta Ci siam trovati uniti insieme nel fervido sforzo diretto agli stessi scopi di pace e di unità fra gli uomini.

L’interessamento della Vostra Maestà Imperiale per la causa della pace è ben noto, e la fatica e gli sforzi da Voi compiuti a questo fine hanno suscitato l’ammirazione di tutti gli uomini retti. Poiché anche Noi aneliamo alla pace, Vi esprimiamo la Nostra sincera gratitudine per i Vostri incessanti sforzi che Noi abbiamo appoggiato con entusiasmo.

La pace, tuttavia, non è solo un’opera negativa; la vera pace è positiva: essa implica unità, carità, comprensione, tolleranza e perdono. Questo aspetto positivo della pace spicca pure in maniera eminente nelle opere della Maestà Vostra Imperiale per il bene della umanità, e specialmente in quel grande compito che Voi vi siete assunto e per il quale avete lavorato con coraggio: l’unione nell’Africa.

Ma tutte le opere di uomini bene intenzionati, che, secondo il proprio modo di vedere, si adoperano per un mondo migliore, a nulla giovano se non si tiene conto del Grande Iddio e dei più alti destini dell’uomo. Sotto questo riguardo Vostra Maestà Imperiale s’è meritata la stima di tutti per il rispetto mostrato in tutto il vostro operare verso la grande dignità della natura dell’uomo, e per aver dato esempio di personale coraggio e forza d’animo in una vita non priva di sacrifici.

Noi desideriamo di continuare a lavorare in spirito di amicizia e di cooperazione per gli ideali cui entrambi aneliamo, e preghiamo costantemente che tali ideali possano essere conseguiti. Inoltre preghiamo in special modo che Vostra Maestà Imperiale e tutto il Vostro diletto popolo possano ricevere l’abbondanza delle divine benedizioni.

Papa Paolo VI / Ginevra – Martedì 10 giugno 1969

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Babilonia

Il Mosè “Cornuto” a Roma

Sapevate che la chiesa cattolica ha per lungo tempo, in accordo alla tradizione latina, raffigurato Mosè con corna di diavolo ?
Guardate il dettaglio del celebre “Mosè” di Michelangelo. Ovviamente, si tratta di una rappresentazione anti-biblica e falsificata, ma la storia di questa curiosa interpretazione è molto illuminante riguardo alla stessa natura della Chiesa Cattolica e della sua fede.
La causa è nella traduzione latina della Bibbia fatta dal celebre Gerolamo, la cosiddetta “Vulgata” , che presenta un gravissimo fraintendimento. In Esodo 34:29, laddove la Bibbia Etiopica, così come tutte le altre versioni antiche, riporta:
“Quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole nelle sue mani, non sapeva che il colore del suo volto fosse stato glorificato mentre parlava con Dio.”
Gerolamo invece dice:
“Cumque descenderet Moyses de monte Sinai, tenebat duas tabulas testimonii, et ignorabat, quod CORNUTA ESSET FACIES SUA ex consortio sermonis Domini”.
Ha detto, perciò, che la faccia di Mosè era diventata “cornuta” mentre parlava con Dio. Perché l’abbia fatto è oggetto di supposizione, probabilmente un fraintendimento dall’ebraico “qaran” che significa “raggiante” ma richiama nella radice “qern”, corno. Tuttavia, gli Ebrei non hanno mai interpretato l’iconografia di Mosè in questo modo, e la traduzione greca della Septuaginta è totalmente priva di tali riferimenti.
Ecco, un esempio perfetto per comprendere che la loro traduzione, così come la loro tradizione, è un tradimento (stessa parola).
E mettono le corna allo Spirito di Dio, e rendono i profeti diavoli. Specialmente nel caso della Chiesa Romana, che ha completamente dimenticato tutte le prescrizioni di Mosè e che mangia porco con entusiasmo e passione, il fenomeno sembra pieno di senso culturale.
Ed è “il colore del volto di Mosè” la radice letteraria di tutto questo, a denunciare simbolicamente la falsificazione del volto di Cristo e dei profeti, e l’artificiale “romanizzazione” e “sbiancamento” di una cultura afro-orientale.
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