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Haile Selassie I - Testimonianze

Il Principe d’Italia Amedeo Savoia-Aosta, 1986

Tratto da “In Nome del Re”, di Amedeo Savoia-Aosta,  Rusconi 1986, pp. 133-137
“Da questo punto di vista, pensando cioè a un avversario politico, il mio incontro più emozionante e commovente l’ho avuto con Hailé Selassié. Dobbiamo ricordarci che fummo noi italiani a fare guerra al Negus Neghesti, a invadere il suo Paese, e che mio zio Amedeo fu, successivamente, Viceré d’Etiopia. Ma sapevo che una volta ritornato sul trono di Giuda, Hailé Selassié aveva parlato di Amedeo d’Aosta come di ‘un uomo di generosa bontà e illuminata saggezza’ e che si era comportato nei confronti degli italiani con intelligenza e comprensione. Io volevo andare a visitare i luoghi dove mio zio aveva combattuto ed era stato fatto prigioniero. L’Amba Alagi soprattutto. L’editore Rusconi, nel 1968, mi organizzò un viaggio con il giornalista Alfredo Ferruzza e mi ricordai che nel 1930 proprio il Negus, appena nominato imperatore, cioè diventato Negus Neghesti, Re dei Re, aveva ricevuto il Collare dell’Annunziata da Vittorio Emanuele III per mano del duca degli Abruzzi. Quindi, il primo contatto tra le due Case Reali era avvenuto tramite un Aosta. Così scrivo una lettera all’imperatore d’Etiopia; essendo un Collare dell’Annunziata, la indirizzo alla ‘Maestà Imperiale e caro cugino’. La risposta mi arriva immediatamente tramite l’ambasciatore etiopico a Roma: Hailé Selassié mi fa sapere che per lui sarà una vera gioia accogliere il duca d’Aosta ad Addis Abeba. A questo punto la visita diventa ufficiale e il ministro degli Esteri d’allora, Pietro Nenni, si preoccupa di darmi alcuni ottimi consigli su come trattare con l’Imperatore d’Etiopia ed alcuni tra i ras più importanti per migliorare ulteriormente i rapporti tra i due Paesi: certe cicatrici provocate dalla guerra non si erano ancora rimarginate del tutto…
Finalmente parto con mia moglie Claudia e due amici (…) Massaua. Qui ci attende l’Imperatore, nello stesso palazzo dove abitò anche lo zio Amedeo, una bellissima villa bianca sul mare. Vi giungiamo scortati da otto motociclisti. All’ingresso un’intera compagnia mi presenta le armi: più di quanto mi sarebbe spettato se in Italia ci fosse stata ancora la monarchia. L’Imperatore ci accoglie a metà della scala d’accesso e non in cima, un omaggio che non aveva riservato neppure alla Regina Elisabetta. Noi gli facciamo i tre inchini previsti dal protocollo, e mia moglie la riverenza. Entriamo in una grande sala e si parla in francese come mi era stato consigliato di fare. C’erano vari ras e il Negus mi dice: ‘Suo zio, il duca Amedeo d’Aosta, è stato un grande gentiluomo che ha fatto solo del bene al mio Paese. Pensi che dalla regina di Saba ad oggi il mio impero non era stato mai totalmente pacificato come quando il duca d’Aosta ne fu il Viceré. Qui gli italiani hanno lasciato un ottimo ricordo: strade, scuole, ponti, ospedali che usiamo ancora’. Non ha mai parlato della guerra e dei lutti che è costata al suo popolo. Prima di lasciarmi, mi ha chiesto sorridendo: ‘Ma lei è un principe come quelli delle famiglie reali europee che non fanno niente dalla mattina alla sera, o lavora?’. Poi ha voluto che proseguissi il viaggio sul suo aereo personale.
Ho visitato tutte le principali città dell’Etiopia, quindi a piedi sono salito sin sull’Amba Alagi che è alta, per l’esatteza, 3411 metri. (…)
Ho visto una seconda volta Hailé Selassié nel 1970 quando, durante un viaggio in auto da Città del Capo a Capo Nord, passai da Addis Abeba. Stavolta il Negus Neghesti mi ricevette in modo meno ufficiale: nel salotto privato del Palazzo imperiale; era circondato da innumerevoli chihuahua, quei cani piccolissimi: ce n’erano dappertutto: sul divano, sulle poltrone, sui tappeti…
L’anno seguente, trovandosi in Italia l’Imperatore mi fa sapere che vorrebbe vedermi. (…) ci mettiamo d’accordo per Venezia, all’hotel Danieli. Qui gli regalo una targa ricordo del primo volo senza scalo da Roma ad Addis Abeba effettuato dal generale Zappetta con un monomotore Nardi Fiat. Siamo soli e mi ringrazia in italiano. Alla mia reazione di stupore lui, con un’aria divertita, abbassando la voce, mi spiega: ‘Io parlo la vostra lingua, ma nessuno lo sa e nessuno lo deve sapere. Vede, io ho dovuto parlamentare spesso con gli italiani e con la scusa dell’interprete prima sentivo i discorsi che mi facevano, poi, mentre l’interprete traduceva, avevo il tempo per meditare la risposta. Non solo ma avevo anche la possibilità di controllare se la mia risposta veniva tradotta correttamente’. Amava molto Dante e conosceva a memoria molti passi della Divina Commedia. Riferendosi a certe difficoltà che avevo con delle persone, mi disse: ‘Non ti curar di loro ma guarda e passa’.
Gli chiesi perché mandava tanti studenti all’estero, anche in Unione Sovietica ben sapendo che molti di loro, frequentando i nemici del suo regime, gli si sarebbero rivoltati contro. E lui mi rispose: ‘Lo so, ma credo di fare ugualmente una cosa giusta: i giovani devono assolutamente conoscere il mondo, aprire la mente per affrontare il Duemila. Non possiamo stare fermi, dobbiamo guardare al futuro. Quindi se anche un giorno tutto ciò diventasse un boomerang, mi ricadesse addosso… non importa: l’Etiopia deve progredire’.
Tutto quello che in seguito Hailé Selassié dovette patire, se proprio non venne provocato fu almeno incoraggiato dagli studenti etiopici rientrati in Patria.”
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